Riccardo aveva un sogno. Quella sua RX 125 che tanto lo aveva reso orgoglioso da adolescente e che la vita aveva portato lontano da lui, meritava una seconda chanche, una seconda possibilità di esprimersi sulle strade. Ma come fare? Abbiamo voluto dargli una mano coinvolgendo tutto il gruppo. E siamo partiti da qui.
Perché una motocicletta così pesantemente segnata dall’incuria e dal tempo meritasse di rivivere, ce lo spiega lo stesso proprietario, Riccardo: “Era una settimana dopo il mio compleanno, non avevo ancora il patentino. Seduto dietro mio zio risalivamo la Tuscolana verso Frascati poi a destra per di Rocca di Papa. Mia zia ci seguiva in auto, avrebbe riportato a casa il marito. E adesso era li, splendida nel garage di casa mia. Non potevo ancora guidarla su strada, ma vivevamo in campagna ed era pieno di sterrati. Decine di km su e giu’ per monte Cavo, i Pratoni del Vivaro, il Lago di Castel Gandolfo. Il mondo dove ero cresciuto. La prima volta era stata un paio di anni prima, al mare, un lungo sterrato. Mio zio mi aveva fatto sedere davanti su un Honda XL200 rossa. C’era un alberello caduto di traverso, grigio scuro sulla strada bianca. Rallentai pensando a cosa fare, un motorino o una macchina non sarebbero mai passati. Ma mio zio disse accelera e la moto scavalcò il tronco con naturalezza. In quell’istante mi innamorai dell’enduro. E dagli sterrati dietro casa alla Parigi Dakar in TV, tutto spingeva verso una moto con le gomme tassellate.
Non so perche’ fui accontentato. I miei non erano motociclisti e conoscevano bene i rischi. Il costo era alto, 2 mesi di stipendio di mia madre. 30 anni dopo e con 2 figlie di quell’eta’ penso che direi di no. Ma loro accettarono, chiedendo a mio zio di insegnarmi. Lui mi regalò la giacca e poi casco, occhiali guanti e stivali. Il casco sarebbe diventato obbligatorio solo qualche anno dopo, lo mettevo perché mi dava un tono ed era una raccomandazione di mio zio come le 2 dita sempre poggiate su frizione e freno.
Andò così e il seguito è quello che abbiamo fatto tutti. Patentino e giri che si allargano, baci con una ragazza che faceva girare la testa a tutta la scuola, zingarate con gli amici. Sterrati, tanti sterrati. Il trofeo motorally ci portava per tutto il Lazio, l’Umbria, la bassa Toscana, seguendo la linea nera del roadbook, una lunga striscia di carta arrotolata dentro la scatola rossa sopra il manubrio. E ancora le scivolate, i guadi di cento ruscelli, le chiese diroccate, i prati con la neve, i paesini abbandonati, meraviglie del Belpaese dietro casa che non si finiva mai di scoprire.
Nello stesso periodo mio zio finiva di restaurare la sua prima moto, una Gilera 100 degli anni ’60. Qando ero da lui al mare lo guidavo spesso, un piccolo gioiello di cromature e lamierino nero, perfetto in ogni dettaglio. Cambio e freno erano invertiti rispetto a quelli di oggi e bisognava stare attenti, ma questo rendeva la cosa ancora piu’ divertente. Ed era ovvio quello che avrei fatto, esattamente come zio. Il mio Gilera lo avrei tenuto e un giorno lo avrei restaurato a puntino. Sono passati 10, poi 20 anni, mi sono trasferito lontano da Roma. La moto abbandonata in un capanno umido dai miei. Mio padre sa cosa ho in mente e prova a partire con un restauro, ma non e’ semplice, io non riesco ad andare avanti, si accumula altra rugine. Passano altri anni, comincio a preoccuparmi delle plastiche, non c’e’ un pezzo sano. Finisce che mi tuffo su eBay e compro tutto quello che trovo, scatole di roba che non so come usare.
Ed ecco che, pian piano, la RX di Riccardo sta risorgendo. Non è magia: è semplice passione di motocilcisti. W la Gilera!