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Le Gilera KZ e KK

Nel 1985 il mercato delle 125 stradali fu scosso da un turbine di novità. La Honda NS, prima, e la Cagiva Aletta Oro, poi, alzarono l’asticella delle prestazioni solleticando l’appetito dei sedicenni neopatentati. In Gilera, la coppia RV/RX si vendeva ancora bene, ma la prima, per quanto riuscita, era figlia di un progetto ingabbiato in molti vincoli, primo tra tutti il dover condividere il telaio con la sorella enduro. Era chiaro che ci volesse qualcosa di più e ad Arcore la squadra dell’ing. Masut era già al lavoro sul nuovo modello. Già, ma come farlo? La svolta si ebbe quando Luciano Marabese, conclusa l’esperienza di costruttore con la HRD, decise di aprire uno studio di design e prototipazione e inizio a collaborare con il Gruppo Piaggio. Marabese disegna una 125 estrema, che affonda le mani nelle idee racing delle varie Red Horse e Silver Horse affinandole e portandole a nuove vette di eccellenza. La moto è completamente carenata, ha lo scarico che esce sotto la coda e, incredibile, ha il serbatoio sotto il motore per abbassare il baricentro. Una idea, quest’ultima, forse ispirata dalla Honda NSR 500 del 1984 che, appunto, adottava questa soluzione. Ed eccolo il bozzetto di Marabese, una prima infarinatura della nuova moto di Arcore.

foto per gentile concessione di Roberto Marabese
foto per gentile concessione di Roberto Marabese

Quando Masut vide la proposta, pur trovandola affascinante, si rese conto che non c’erano i tempi e le risorse per sviluppare una moto fatta in quella maniera. Fu allora deciso che da quell’idea sarebbe nata una versione più economica e meno estrema in modo da essere pronta per il Salone di Milano del 1985 e in seguito sarebbe arrivata quella più performante. La coppia KZ/KK è nata così. Questo è il prototipo della KK (notate che si chiama ancora RV 125). C’è ancora molto di HRD nello stile, ma i successivi affinamenti e l’industrializzazione porteranno poi a definire quel design fatto di linee tese così unico, caratteristica delle KZ/KK.

Lo stile. La nuova KZ è una moto completamente diversa dalla precedente RV. Innanzitutto è più piccola, raccolta, con una posizione di guida a gambe rannicchiate e busto proteso in avanti. Doveva essere veloce e per questo si è cercato, per quanto possibile, di ridurre al massimo la sua sezione frontale. Guardandola, salta subito all’occhio la carrozzeria, con il finto serbatorio e codone in un pezzo unico e la semicarena che lascia a vista il motore. Nella parte inferiore, un puntale aerodinamico congiunge idealmente le due ruote e funge da alloggio per la batteria, nella parte anteriore. Inizialmente in un sol pezzo, la carena venne poi stampata in due semigusci uniti da fettucce di metallo e viti, sistema usato anche per le due semi-fiancate. Basta fare un giro su internet e dare un’occhiata alle 125 contemporanee per renderci conto come la nuova Gilera sia diversa da tutte le altre, originale, con una linea davvero particolare.

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Ciclistica. Se la “pelle” esterna, nel 1985, lascia di stucco gli addetti ai lavori, la meccanica, invece, è decisamente più tradizionale. Il telaio è una nuova struttura a doppia culla chiusa di tubi quadri di acciaio (un must in quegli anni) con la parte superiore molto larga che poi si rastrema scendendo verso il basso. La larghezza della parte superiore è dovuta al fatto che deve contenere il vero serbatoio, la propaggine del filtro dell’aria e un piccolo portaoggetti accessibile dallo sportello sulla sommità del finto serbatoio. Il reggisella, invece, è una mensola scatolata di alluminio rivettato imbullonata al telaio. La sella è fissa e nella parte posteriore sono presenti due maniglie per il passeggero. La serie KZ/KK è pensata come un prodotto industriale di grande serie e come tale deve anche avere un occhio ai costi di produzione. Certi voli pindarici come quelli fatti con le RV/RX non sono più possibili se si vuole essere competitivi. Sparisce così la costosa sospensione posteriore Monodrive soppiantata da una più semplice Powerdrive ispirata al Prolink della Honda. All’avantreno la forcella ha adesso gli steli da 36 mm e conserva una specie di regolazione antidive su tre posizioni. Le due ruote di lega Grimeca, dal disegno semilenticolare, sono uguali avanti e dietro (cambiano solo le flange per montare dischi o corone). La stessa carrozzeria è studiata per essere stampata facilmente e tutta la moto è pensata per essere assemblata velocemente in fabbrica a scapito, forse, della facilità di accesso e riparazione in officina. In ogni modo, lo ribadiamo, il risultato finale è eccellente in rapporto alla concorrenza.

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Motore. Partendo dal collaudato e robusto 125 delle RV/RX, i tecnici di Arcore hanno potuto ottenere un aumento della potenza lavorando su vari elementi. Per prima cosa, il nuovo cilindro ha adesso 12 luci e lo scarico è dotato di valvola APTS (Automatic Power Tuning System). Questo dispositivo, simile all’ATAC Honda, è composto da un albero rotante che svolge la duplice funzione di pazializzare la luce di scarico e aprire/chiudere una camera di risonanza. Fino a circa 7.500, la camera è messa in comunicazione con lo scarico per migliorare i bassi. Superato questo regime, la valvola si apre completamente, viene chiusa la camera e il motore può dare tutto ciò di cui è capace, poco meno di 24 cavalli (a 9.250 giri/min) alla ruota. Purtroppo, come ci hanno raccontato i tecnici Gilera a distanza di 30 anni, la particolare conformazione della marmitta, con una parte schiacciata per passare dietro al telaio, sarà sempre un ostacolo al raggiungimento di prestazioni ancora più elevate, errore che non sarà ripetuto sulle serie successive. In ogni modo la KZ viaggia maledettamente forte. Quando Motociclismo la prova, nel novembre del 1986, raggiunge 153,200 km/h mettendosi dietro tutte, ma proprio tutte le altre 125 sul mercato. Stessa cosa in accelerazione, dove sui 400 metri da fermo primeggia davanti all’Aprilia e alla Honda, le uniche a scendere sotto i 16 secondi insieme alla KZ. A ritoccare all’insù le prestazioni, ci pensa anche l’accensione elettronica ad anticipo variabile (prima era fisso) e il carburatore passato da 26 a 28.

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Allestimento. Ottime le rifiniture, anche se a livello di componentistica c’è un piccolo passo indietro rispetto alla RV. I nuovi comandi al manubrio non sono più illuminati, ma c’è la chicca dello starter coassiale alla manopola di sinistra. Le plastiche sono di discreta qualità e l’unica critica che si può fare riguarda lo sportello superiore del finto serbatoio con la serratura che sembra debole. In ogni modo, seduti sulla KZ, non si può non apprezzare la sontuosa strumentazione, di stampo automobilistico, e la bellezza di leve e semimanubri. Inutile accucciarsi troppo dietro lo striminzito plexiglass fumé del cupolino: non si vede nulla.

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Su strada. Messe le ruote sull’asfalto, la KZ mostra subito di che pasta è fatta. Delle dimensioni ridotte e della posizione di guida particolare abbiamo già detto. Ciò che emerge subito è una certa durezza delle sospensioni che, se da un lato donano un assetto piatto e misurato, dall’altro mal digerisono sconnessioni accentuate dell’asfalto, cosa che si ripercuote principalmente sulla forcella. La KZ dà il meglio di sé in velocità, su strada liscia, dove riesce a offrire una tenuta e stabilità degne di nota. Va tenuta su di giri e lasciata distendere sino alle soglie della zona rossa, guidata con precisione e stando attenti a non perturbare l’assetto. Rispetto alla RV, perdona di meno gli errori, ma ha limiti più alti. In questo contesto stonano un po’ i freni, potenti ma poco modulabili, e il motore che manifesta una certa pigrizia sottocoppia. In città, poi, il ridotto angolo di sterzo complica un po’ le manovre da fermo e la presenza del solo cavalletto laterale può essere un limite in alcune condizioni.

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